Bahary

Bahary, dall’arabo, bahr mare, è il nome della mia collezione più artistica.

Il ricordo dei pescatori e la vendita del pesce all’asta per me è sempre presente. Durante la mia infanzia tutti i giorni alle 3 del pomeriggio, la scena era sempre quella: le barche arrivavano, i bambini vi saltavano su e l’urlo dei pescatori aveva un linguaggio meraviglioso. Il pesce scaricato dalle barche era l’appuntamento più atteso della giornata.

Il mare delinea anche il confine della mia isola con il resto d’Italia, e perciò il senso dell’isolamento e della lontananza da tutto. Ma rappresenta anche un senso di protezione, come se l’acqua fosse un muro dietro al quale ripararsi dai pericoli.

Il mare ha però dato vita anche alla mia forte immaginazione di ciò che ci fosse al di là. Di fronte alla mia finestra c’è l’Africa, esattamente la Libia. L’immaginazione della Libia alimentava la mia fervida curiosità di conoscere culture diverse.

Il mare rappresenta per me sia la solitudine sia la compagnia con la parte ignota di me stessa. Rappresenta lo specchio sul quale riflettono le difficoltà a confrontarsi con certe emozioni interiori, con un disagio emotivo o un conflitto che abbisogna di chiarificazione. Inoltre, il mare ci induce a uno stato di grazia, astrarsi e guardarlo da lontano riesce a renderci più consapevoli della nostra vita.